Contributi per il lavoro di cura, prepensionamento, un’assicurazione per consentire al caregiver stesso di curarsi sono al centro della proposta di Laura Bignami. «Impossibile individuare una platea, ma qui è una questione di diritti. D’altronde anche la reversibilità della pensione per le coppie omosessuali è stata approvata senza copertura», spiega Maria Simona Bellini
I caregiver familiari vanno verso il loro primo riconoscimento giuridico in Italia. Inizia infatti oggi, in Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato, l’iter di tre disegni di legge che mirano a dare riconoscimento a quell’enorme lavoro di cura prestato da un aver bisogno H24 di una persona che gli stia accanto, con perizia e con amore. Sono tre i testi su cui lavoreranno i senatori: il 2048, a prima firma Cristina De Pietro (Gruppo misto), “Misure in favore di persone che forniscono assistenza a parenti o affini anziani”; il 2128, a prima prima firma Laura Bignami (Gruppo Misto – Movimento X), “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare” e la numero 2266, “Legge quadro nazionale per il riconoscimento e la valorizzazione del caregiver familiare”, a prima firma Ignazio Angioni (Pd).
La proposta a firma della senatrice Bignami è esplicitamente appoggiata dalle famiglie del Coordinamento nazionale famiglie di disabili gravi e gravissimi, che oggi guardano con grandissime aspettative all’avvio dei lavori, dopo un anno in cui la proposta è rimasta ferma ai pali: «si vocifera che questa legislatura arriverà al suo termine nautarale, se c’è volontà quindi c’è tutto il tempo di fare una buona legge», afferma Maria Simona Bellini, portavoce del Coordinamento.
Maria Simona, la vostra battaglia è iniziata negli anni ’90, con la richiesta di prepensionamento per i genitori che assistono un figlio disabile grave. Questa legge oggi come si pone rispetto a quella battaglia, con quali continuità e quali novità?
Quella prima battaglia era settoriale, solo per i caregiver lavoratori. Oggi non è più così, intanto anni fa non eravamo coscienti di ciò che accadeva all’estero, ci hanno sempre fatto credere che l’Italia fosse all’avanguardia sui diritti delle persone con disabilità: guardando ad altri Paesi invece ci siamo accorti che dobbiamo chiedere di più. Questa è una legge che si rivolge a tutti i caregiver familiari, anche a quelli che non hanno mai potuto lavorare proprio perché impegnati con un figlio grave. E soprattutto oggi la nostra una battaglia è tutta incentrata sui diritti, a cominciare dal diritto alla salute: un diritto fondamentale, inalienabile, per il quale non si possono porre limiti di bilancio e allo stesso tempo un diritto che per noi è annullato del tutto, nel senso che per garantire i diritti dei nostri cari siamo costretti a rinunciare ai nostri. La legge Bignami finalmente ci metterebbe nella condizione di poterli esercitare entrambi.
Quali sono i punti centrali del disegno di legge 2128, che appoggiate e che avete sostenuto anche con la campagna #unaleggesubito?
Sono tre tutele che ci vengono garantite. La prima è la tutela previdenziale, che appunto va in continuità con la battaglia iniziata tanti anni fa. Nel testo c’è il riconoscimento del lavoro di cura, anche a livello previdenziale. Chi ha lavorato e nel frattempo ha anche svolto un lavoro di cura, si vede riconosciuto quel lavoro, nel senso che si contributi previdenziali da lavoro si sommano anche i contributi per il lavoro di cura, a carico dello Stato. L’ipotesi è che ogni 5 anni di lavoro di cura ne venga riconosciuto uno di contributi previdenziali a carico dello Stato e la somma di questi contributi ovviamente consente di andare in pensione prima. La legge però riconosce i contributi anche per il caregiver familiare che è stato costretto a lasciare il lavoro o a fare un part time o che mai ha potuto lavorare.
La seconda?
È una tutela assicurativa. Noi chiediamo che lo Stato si faccia carico di una copertura assicurativa (qui torniamo a diritto alla salute, che è centrale), che copra le “vacanze assistenziali”. Non è pensabile che un caregiver non possa ricoverarsi né curarsi a casa propria per delle sue difficoltà, perché non può abbandonare il proprio congiunto non autosufficiente. O che non lo faccia per paura che i servizi in quell’occasione istituzionalizzino il figlio. Deve essere rispettata la libertà di scelta della persona con disabilità o, qualora questa non sia in grado di autorappresentarsi, del suo caregiver. La persona con disabilità deve poter restare al proprio domicilio. Sappiamo tutti benissimo che i servizi domiciliari sono polverizzati, esistono solo dove ci sono fondi locali: l’assicurazione metterebbe tutti i caregiver nelle stesse condizioni, in qualunque regione vivano: con quei soldi potrebbero coprire l’emergenza con una persona scelta da loro, a domicilio. La terza tutela è la richiesta di riconoscimento delle malattie professionali: le badanti, che fanno assistenza per lavoro, 8 ore al giorno, hanno un riconoscimento delle malattie professionali, legate ad esempio al sollevare la persona allettata. Il caregiver familiare lo fa H24, ma non ha nulla. Io che da 28 anni alzo mia figlia Letizia, ho l’ernia al disco ma se faccio una MOC io devo pagare il ticket, la badante no. Torniamo sempre lì, al diritto fondamentale alla salute.
Quanti sono in Italia i caregiver familiari a cui la legge si rivolge?
Non essendoci riconoscimento giuridico, ovviamente non esiste nemmeno una quantificazione numerica. Ci sono delle stime Istat sulle persone con disabilità, ma alla persona con disabilità non corrisponde per forza di cose un caregiver familiare prevalente. E anche facendo riferimento ai dati INPS, è impossibile dire quanti di queste persone con disabilità sono in una condizione di non autosufficienza tale da avere la necessità di un caregiver familiare H24, perché la classificazione della disabilitò che abbiamo in Italia mette un po’ tutti nello stesso calderone. Quindi è impensabile fare una quantificazione.
E quindi la relazione tecnica che platea individua?
La platea non deve interessare, deve interessare il riconoscimento di un diritto. È possibile, è stato già fatto per la reversibilità della pensione per le coppie di fatto, quella legge uscì senza che fosse definita una platea e senza la copertura. È un precedente importante. E comunque dal nostro punto di vista i numeri non sono esigui ma quasi.
Il Coordinamento appoggia esplicitamente il ddl Bignami: cosa non vi convince negli altri due testi?
Per la proposta De Pietro il limite è che chiede solo uno sgravio fiscale per l’assistenza gli anziani, direi quindi che è marginale rispetto al tema che stiamo trattando. Nel ddl Angioni invece il problema è di fondo: mentre nel ddl Bignami il caregiver diventa punto di riferimento per i servizi sociali, nel ddl Angioni tutto è demandato ai servizi sociali e in alcuni passaggi velatamente forse si pensa anche che il familiare non sia in grado di badare al proprio caro, quindi lo istituzionalizziamo. Vedo un bellissimo preambolo, in cui si parla di Convenzione Onu e di Costituzione ma poi se vado a leggere scopro che dopo quella bella premessa, nella legge questi diritti non ci sono: ci sono diritti che sono già giuridicamente esigibili, quindi non vedo perché rimetterli in una legge, piuttosto rendiamoli esigibili. Oppure cose inutili come la giornata nazionale, ma noi non abbiamo bisogno di medagliette. Mi sembra che non aggiunga niente di nuovo, ho la sensazione che sia un po’ uno specchietto per le allodole. Quella della senatrice Bignami invece forse è di poche parole, ma vedo molti fatti.